Inventare le favole (con Gianni Rodari): elogio dell’errore. Puntata n. 2
C’era una volta una mamma che aveva nostalgia del suo bambino
E quando stava fuori casa, pensava sempre al suo piccino
Così un giorno prese la decisione. Senza indugio, chiese audizione
Il direttore non la fermò. La pazzarella si licenziò
“E ora che faccio?”, chiese la madre. “Stringi la cinghia”, disse il padre
Ma il piccoletto saltò sul letto. Nel suo sorriso, il Paradiso
Ecco, vedete, non è un dramma
Scrivo il mio blog e faccio la mamma
C’è qualcosa nelle fiabe che va oltre le fiabe. Qualcosa di personale. Carnale. Atavico.
Perché la fiaba è un po’ come la mamma.
La fiaba è la mamma.
Avete mai ascoltato il linguaggio di una madre piegata sulla culla? E’ pieno di sussurri fantastici.
L’avete mai seguita mentre agita il cucchiaio pieno di pappa, fingendolo un aeroplano che romba sul seggiolone?
Così il cantastorie crea i suoi intrecci, ‘estraniando’ gli oggetti dalla banalità del reale.
E ancora: i piccoli rituali del bagnetto o della buonanotte. Le dolci parole d’ordine che evocano segreti. Gli scherzi ripetuti nella gioia dell’attesa.
La mamma è la fiaba. Fin dal principio. Dalle carezze misteriose del suo grembo.
Perché ci connette con la magia del mondo.
Perché la sua lingua sarà il nostro mondo.
Per sempre.
La nostra breve guida per inventare favole riparte da qui.
Da noi.
Gettiamo gli orpelli. I cd, i dvd, i libri parlanti. I cellulari.
Lasciamo che le favole ci uniscano ai nostri figli
(Se volete leggere la prima puntata, la trovate a questo link)
VIVA IL LUPO…SE NE PARLA LA MAMMA
Le storie sono importanti. Ma chi le racconta, molto di più.
Ve lo dice il maestro Gianni Rodari.
“La fiaba è per il bambino uno strumento ideale per trattenere con sé l’adulto…Finché essa dura, la mamma è lì, tutta per il bambino, presenza durevole e consolante, fornitrice di protezione e sicurezza”.
L’ascolto è una scoperta.
Perché la mamma racconta – sì – di Cappuccetto Rosso e di Pollicino. Ma parla soprattutto di se stessa.
Le parole scelte. Le forme della frase. L’intonazione della voce. “La sua musica che comunica tenerezza, che scioglie i nodi dell’inquietudine, fa svanire i fantasmi della paura”.
E allora la favola può incamerare l’oscuro. Il mostro. La strega. Il lupo.
Alla faccia della pedagogia, del politically correct, del femminismo e della parità di genere.
Amiche, le fiabe sono estreme. Spaventose. Squilibrate. A volte.
Le streghe sono femmine e sono brutte. I lupi sono furbi e mangiano vecchie nonne disabili. I nani sono bassi e deformi e si chiamano proprio nani, senza sentirsi menomati nella loro dignità.
Devono essere così.
“Se è la voce della mamma ad evocare il lupo, nella pace e nella sicurezza della situazione familiare, il bambino può sfidarlo senza paura. Può ‘giocare ad aver paura’, certo che ad allontanarlo basterebbe la forza del babbo, basterebbe la ciabatta della mamma”.
La madre cantastorie. La madre ‘lupa’.
Perché le fiabe servono anche a questo: a sapere che il drago può essere sconfitto (e che le streghe sono brutte e i nani bassi).
IL BAMBINO COME PROTAGONISTA
Allora oggi come inventiamo?
“C’era una volta un bambino che si chiamava Lorenzo.
Come me?
Come te.
No, io sono un gatto. Un gatto blu.
Va bene, sei un bel gatto con la coda blu.
E tu mamma sei un pollo”.
Tutte le madri usano raccontare favole in cui il loro figlioletto è il protagonista. Lo facciamo per amore o per necessità.
Levare il pannolino, ecco una favola ‘educativa’ (ho un’antologia sull’argomento). Vincere la paura del buio. Andare a scuola senza fare capricci.
“In questo tipo di storie – spiega ancora Rodari – la madre ripropone al bambino la sua esperienza e la sua persona come oggetto, lo aiuta a chiarirsi il suo posto tra le cose, ad afferrare le relazioni di cui è al centro”.
Per conoscersi, bisogna immaginare.
Lorenzo era un grande ingegnere e costruiva la città più bella del mondo. Con tante case blu e una lunga ferrovia che portava i bimbi a scuola. La mattina, di fronte a ogni casa, si fermava un trenino di legno. I bambini, cartella in spalla, sceglievano il loro scompartimento preferito con la faccia di un gatto…”
Ricordate che le storie con i bambini protagonisti – per essere più vere e coinvolgenti – debbono assolutamente avere il loro “coté” privato: il negozio dove comprate la pizza, la vicina di casa che incontrate sempre sulle scale, il barboncino del vostro portiere. Usate il vostro lessico famigliare, scegliete i nomi dei nonni o degli zii.
Il gioco darà molta più soddisfazione se vostro figlio sarà coinvolto in situazioni piacevoli, se compirà imprese memorabili.
Sì, certo. Sappiamo bene che il futuro non sarà bello come una fiaba. Ma non conta.
“Intanto, bisogna che il bambino faccia provvista di ottimismo e di fiducia, per sfidare la vita. E poi, non trascuriamo il valore educativo dell’utopia”, assicura Rodari.
La madre cantastorie. La madre lupa. La madre formichina che racimola speranza sul mondo.
STORIE PER RIDERE
Ora è il momento di divertirsi.
Torniamo alla madre davanti al seggiolone. Prende un cucchiaio e, scherzosamente, se lo infila nell’orecchio.
“No, mamma, non si fa così!”
Il bambino ride perché “mamma sbaglia” e non sa che il cucchiaio si porta alla bocca.
Si chiama “riso di superiorità” e, spiega il nostro maestro, è una delle prime forme di riso di cui è capace un bebè. E’ anche uno strumento di conoscenza, giocato sulla opposizione tra ‘corretto’ e ‘sbagliato’.
La strada più semplice per inventare una storia divertente è sfruttare l’errore.
Papà si infila le scarpe nelle mani. Mamma si mette una calza come cappello. Lo zio vuole mangiare una stampella.
Dapprima ci sono solo i gesti. Poi arrivano le storie vere e proprie.
C’era una volta un pesce che non sapeva nuotare. Allora chiese a un bagnino di aiutarlo ma questi gli insegnò a nuotare a rana. Il pesciolino fu scambiato per un ranocchio da una principessa che sognava un principe azzurro. La principessa lo baciò e il povero pesciolino si trasformò in un omone con gli occhi da triglia….
Se potete, fate ‘vincere’ i personaggi sbagliati. La loro diversità è una scintilla per il futuro. Un futuro meno bigotto, meno conformista, meno scritto e scontato.
LA TIGRE BENZINAIA, IL MAESTRO NEL POLLAIO
Ecco un escamotage molto sfruttato per dare vita a gag e storie comiche. Piazzare un personaggio ordinario in un contesto straordinario, o viceversa. Il famoso coccodrillo a ‘Rischiatutto’. O una tigre al distributore di benzina che s’infila col faccione nel vostro finestrino: “famo 10 verde, signò?“.
I bambini adorano questo esercizio di fantasia. Fa scopa con il loro animo dissacratorio. Così non stupitevi se il maestro finisce nel pollaio a covare le uova. Se voi stessi vi ritrovate allo zoo nella gabbia delle scimmie col sedere rosso.
SBAGLIARE STORIE
Restiamo sull’errore. E’ una miniera d’oro. Se non volete sforzarvi troppo, basta sbagliare qualche favola ‘classica’.
C’erano una volta tre cinghialini…
Ma no, mamma!, erano tre porcellini!
Ah sì, allora il primo costruì un asilo tutto rosa…
Mamma! Era una tenda…
Hai ragione, il secondo costruì una fattoria per una scolaresca di polli…
State attenti, però, perché i bambini sono molto conservatori. Bisogna cogliere il momento giusto, o l’età giusta. Ma quando la variante decolla, il gioco diventa una cosa seria. “Sdrammatizza il lupo, svillaneggia l’orco, ridicolizza la strega, stabilisce un più netto confine tra il mondo delle cose vere e quello delle cose immaginarie”.
Soprattutto aiuta a superare certe fissazioni. Dei nostri figli e nostre.
L’ERRORE CREATIVO
Un lapsus è uno splendido incipit per una storia. Un errore di ortografia o di geografia ancora di più. Se un bambino scrive sul quaderno “L’Ago di Garda”, non c’è che scoprire questo famosissimo ago segnato sulla cartina dell’Italia. “La luna si specchierà sulla punta o nella cruna? Si pungerà il naso?…”.
Mio figlio Lorenzo ride a crepapelle quando – la faccia ingrugnita – lo rimprovero col dito alzato: “basta, Valerio!”. E subito corre dal legittimo proprietario del nome, mio marito, ammonendo a sua volta: “basta, Lorenzo!”. La catena degli equivoci va avanti per un bel po’ e con un bel po’ di vittime, fino a tornare al principio ed intimarmi: “basta, mamma Pina!”. Se non lo sapete, mi chiamo Cristina ma il nonno materno ha nome Pino.
Non ci capite niente? Neanche io, ma ridiamo tanto.
Ricordate Rodari: “Sbagliando s’impara, è vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe dire che sbagliando s’inventa”.
Mamma cantastorie, mamma lupa, mamma formichina di speranza.
E per fortuna, mamma con libertà di sbagliare.
(to be continued)
NOTA BENE: in questo post trovate spunti, ispirazioni e brani dal magnifico volume di Gianni Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie