BLU è IL COLORE
‘Blue is the Colour’ è l’inno del Chelsea, squadra di calcio che prende il nome da un noto quartiere londinese. Il brano fu composto da Daniel Boone e Rod McQueen (quelli di ‘Beautiful Sunday’, non so se avete presente: 2 milioni di copie vendute negli anni ’70). Il titolo è un riferimento al colori della maglia; non a caso, giocatori e tifosi del Chelsea sono anche chiamati ‘blues’.
‘Blue is the Colour’ è diventata nel tempo una delle canzoni più famose nel calcio inglese e non solo. Infatti un patito cronico del pallone come mio marito usava canticchiarla spesso quando eravamo fidanzati. E malgrado – lo dico quasi con ammirazione – sia forse la persona più stonata che abbia mai conosciuto.
Il motivetto l’ho imparato anch’io (Blue is the colour, Football is the game, We’re all together, And winning is our aim….) e mi è subito rivenuto in mente quando il tornado blu ha investito le nostre vite.
Sì, avete capito bene.
Blu.
Lorenzo lo pronuncia a modo suo, “bbrrrruu”.
Ma è praticamente la prima parola che ha detto dopo mamma, papà, nonni e pappa. Certamente è quella che usa di più e con più vigore.
Perché il mondo di mio figlio è davvero blu. Non è semplicemente un colore. E non è un’infatuazione estetica passeggera come il rosa per le femminucce.
E’ un segno dell’anima.
So che sembro una pazza a scrivere queste cose ma chi lo conosce, sa a cosa mi riferisco.
I giochi, ad esempio. Lui individua subito i pezzi blu e li mette da parte. Li unisce tra di loro o li tiene in mano (quindi fare un puzzle o un incastro è impossibile perché le parti blu mancano sempre). Idem per le macchinette: ci sono quelle blu e le altre. Le prime vengono conservate come reliquie, le seconde sono distrutte o abbandonate nel giro di poche ore. Potrei andare avanti all’infinito: matite blu, palloncini blu, piattini e bicchierini blu, pupazzetti blu. E ovviamente tutti i tipi di costruzioni: abbiamo fatto torri blu, case blu, fattorie blu, scuole blu, ponti blu…
I vestiti, neanche a parlarne. Devono essere blu, e basta. Total blu. Già un disegno, un secondo colore, una vignetta o un cartone animato lo disturbano. E nel tempo ha anche affinato le capacità di distinzione delle varie gradazioni. Quindi oggi l’azzurro è out perché è azzurro e non è blu. Anche i calzini devono essere in tinta e possibilmente le scarpe. Quest’estate mi ha rubato una maglietta solo perché era di un blu che gli piaceva particolarmente. E non tengo più il conto delle cose che ha buttato (nel secchio, sic!) perché non erano del suo colore preferito. (Ora non vorrei aver dipinto un piccolo maniaco: a suo discapito posso dire che – su insistenza o se è distratto – accetta più o meno volentieri anche il verde o il grigio. E ogni giorno indossa la divisa blu scuro della scuola che però ha la maglia gialla. Ma se gli dai possibilità di scelta, non si scappa: “bbbrrruuu!”).
Capitolo cibo. Il poverello ha provato in tutti i modi a far valere le sue ragioni. Ha chiesto disperatamente la pizza blu al fornaio, la pasta blu al supermercato, il gelato blu al bar, il tè blu a casa di amici, l’acqua blu a chiunque, la torta blu per il compleanno. Non vi dico la sua delusione per non aver mai ottenuto nulla di tutto ciò.
La mattina, quando era più piccolo, assegnava un colore a tutti noi. Lui, manco a dirlo, era sempre blu. Un gatto blu, per la precisione.
Per strada le auto blu sono ovviamente le più belle. E tutte le sedie blu devono appartenergli. Una volta è riuscito a far alzare una signora abbastanza attempata solo per poter appoggiare il suo sederino su una poltroncina blu.
Non vi dico, quindi, l’espressione trasognata di Lorenzo quando alza gli occhi verso il cielo. Se la giornata è tersa, resta a scrutarlo col nasino in su, dal suo passeggino, forse soppesando le infinite venature di blu tra le nuvole. La stessa gioia gli guizza sul viso quando incontra i begli occhi blu – ancora giovani – della nonna Franca.
La sera è il momento delle fiabe. E non appena arriva il principe azzurro, mio figlio scatta seduto sul letto. Fa segno di no con la testa. Agita il suo ditino paffuto, le labbra imbronciate.
“Basta, mamma. No azzullo. E’ il principe bbbrrruuu!!!”
Quanto più il blu è profondo, tanto più fortemente richiama l’uomo verso l’infinito, suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile. Esso è il colore del cielo, come ce lo immaginiamo quando sentiamo il suono della parola “cielo.”
Wassily Kandinsky